A Roma, passeggiate rivoluzionarie (con un occhio a New York)

La Voce di New York

Scritto da Irene Ranaldi

Iniziamo un viaggio a puntate nella gentrificazione romana, tra quei quartieri che sempre più perdono la loro storia e autenticità in favore di divertimenti e offerte commerciali che li trasformano in territori di consumo di massa, uniformati a tutte le città globali. Perché per resistere bisogna esplorare i luoghi e narrarne le storie

Da quando la vita quotidiana non è più incentrata sui ritmi fordisti della fabbrica e del lavoro ed è stata “liberata” dal consumo, vivere in città è diventato più attraente. Quello che rende un quartiere alla moda e desiderabile spesso è frutto di un’operazione artificiosa, una “riqualificazione” che attrae il capitale, i grandi marchi della moda e del food e così il tessuto sociale originario viene lacerato dai nuovi colonizzatori, i gentrifier che impongono nuovi consumi e nuovi modelli di riferimento. 

Come resistere a tutto questo? E, soprattutto, è possibile impedire il cambiamento nelle città globali? Impedire no, ma contrastare offrendo una narrazione di città differente si può e si deve fare. A Roma c’è chi porta avanti da più di due anni, un progetto crossmediale che coniuga musica, poesia urbana, street art e passeggiate narrative. Tutti i territori del linguaggio urbano vengono interrogati e utilizzati. È il progetto Bella, Gabriella di Giulia Anania, una dedica emozionale che parte dalla poesia musicata di Gabriella Ferri, nata nello storico rione di Testaccio, e arriva in tutta la città offrendo un linguaggio musicale che pur partendo dalla tradizione e dalla autenticità dei testi, li ri-attualizza e soprattutto li fa rivivere negli stessi quartieri della città dove sono stati immaginati o cantati. Tra tradizione e nuove sonorità, unendo agli strumenti caldi della tradizione (mandolino, fisarmonica) elementi di elettronica (synth e violino elettrico) e i suoni e le voci della città di oggi, per raccontare una romanità verace, raffinata, multietnica, che non s’è persa nelle strade della globalizzazione.

Forse una tattica di resistenza è camminare proprio come diceva Jane Jacobs, antropologa e attivista americana, in onore del compleanno della quale ogni anno a New York si organizzano le Jane Jacob’s Walk: “La camminata è rivoluzionaria perché consente di addestrare gli occhi sulla strada, di farci innamorare e quindi rispettare il nostro quartiere e renderlo allo stesso tempo più sicuro. Un’esperienza che aveva consentito a lei di capire che l’ambiente urbano è fatto di cose assolutamente concrete, per descrivere le quali non c’è minimamente bisogno di prendere il volo verso chimere metafisiche”.

Un’altra tattica di resistenza è narrare i luoghi, accettare le loro trasformazioni non perdendo allo stesso tempo, la facoltà di raccontarne i trascorsi. Iniziamo quindi un viaggio a puntate sui quartieri in trasformazione nella città di Roma partendo dal centro storico. 

Un viaggio a puntate 

La metafora che vogliamo seguire in questi articoli a puntata, è il viaggio da Brooklyn al Bronx, per finire a Coney Island che fa la gang The Warriors nel film del 1979, diretto da Walter Hill. Inizieremo quindi, in questa puntata, dal centro storico nei rioni di Testaccio (del rione Testaccio, al quale con un parallelo con Astoria a New York, ho dedicato la prima monografia in italiano sul fenomeno della gentrification, La VOCE di New York ha già parlato), Monti e Trastevere per finire sulla via Prenestina, altro asse industriale della città dopo quello di Ostiense-Testaccio.

Monti: antica Suburra vs nottambuli

Uno dei primi rioni romani a subire un grosso e imponente processo di gentrification, è il I Rione di Roma, Monti, l’antica Suburra sulla quale tanto ha lavorato l’etnologo inglese M. Herzesfeld.

La “piazzetta” dove sorge l’antica chiesa di Santa Maria ai Monti è invasa dai nottambuli e le vecchie botteghe sono state costrette a chiudere dagli affitti altissimi. Non c’è pace per Monti. Il primo rione, l’antica città tra il Colosseo e i mercati di Traiano, è da anni al centro del conflitto tra l’anima popolare di un tempo e il nuovo corso. L’antropologo della Harvard University, M. Herzesfeld, dopo aver studiato il fenomeno della gentrification a Bangkok, si è dedicato all’analisi della trasformazione del quartiere popolare di Monti in zona di lusso. La sua ricerca è iniziata nel 1999. La storia della resistenza degli abitanti di via degli Ibernesi agli sfratti è simbolica di questo inarrestabile fenomeno chiamato gentrification. Insieme a loro molti artigiani sono stati costretti ad andare via a causa degli affitti troppo alti e adesso abitano in periferia e tornano a Monti la domenica a trovare gli amici. 

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Due immagini del Rione Monti

Eppure Monti, come Testaccio e Trastevere, a tratti e in certi orari della giornata o in certe particolarissime occasioni, torna ad essere quella immortalato dalle acqueforti di Bartolomeo Pinelli e della sua serie di quadri Roma Sparita. Accade, ad esempio, a maggio quando nei tre rioni ancora si fa la processione per la Madonna. A Trastevere accade invece a luglio quando si fa una suggestiva processione lungo il fiume Tevere in onore della Madonna Fiumarola e la caratteristica Festa de’ noantri.

Al posto delle botteghe artigiane a Monti, nello stesso tempo, aprono sempre più boutique del food, (fortunatamente, per conservare la mescolanza, anche boutique di abbigliamento), ristoranti vegan, caffè bistrò. Il clima è piacevole ma l’eccesso di offerta food rende sempre di più Monti simile a Trastevere dove il processo di gentrification è in atto dagli anni Ottanta tanto da essere ancora d’uso sui mass media italiani, parlare di “trasteverizzazione” per intendere lo scadimento di un territorio che aveva una storia e una tradizione, a territorio di puro consumo di massa, uniformato e simile a tutte le città globali.

Aperitivo a Testaccio

Testaccio, tra i tre rioni del centro storico più al centro di trasformazioni, è quello che ancora resiste meglio al fenomeno gentrification. Si deve alla massiccia presenza, più del 60%, del patrimonio edilizio di proprietà dell’ATER (istituto delle case popolari), ormai messe in vendita da più di dieci anni ma ancora, per la maggior parte, acquistate dai nuclei originari. Una convivenza, una mescolanza tra elementi identitari dal carattere fortemente legato al territorio e una spinta esogena al consumo dell’immagine del quartiere diventato sempre più brand. 

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Il museo Macro a Testaccio

Segno ne sono, ad esempio, gli annunci immobiliari. Per accattivarsi l’attenzione del cliente, spesso le agenzie veicolano il nome Testaccio quando l’appartamento si trova nei limitrofi quartieri (non rioni, quindi fuori dal centro storico) Ostiense e Portuense. Oppure, segno tangibile sono le apericena e gli aperitivi, consumati quasi obbligatoriamente, se si vuole essere trendy, a Monti o a Testaccio. 

Mode, flussi, simulacri di identità. Processi inarrestabili e di certo non da demonizzare. Se, però, di pari passo si vigilia sul mercato immobiliare conservando la possibilità di accesso ai ceti meno abbienti di residenze a costi calmierati. Se si vigila sul commercio e sulla pericolosa pratica del “cambiamento di destinazione di uso” delle licenze. Se si rispettano le regole della civile convivenza in cui i diritti dei residenti abbiano la stessa valenza di quelli del commercio. Obiettivi ancora non raggiunti nei tre rioni romani. 

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