Mentre penso a New York, Roma continua a far la stupida

La Voce di New York

Scritto da Irene Ranaldi

Pensieri e idee di una sociologa dell’urbanistica candidata alle elezioni di Roma e già delusa dai temi elettorali

Credo che il benessere, la qualità di vita ed anche il diritto alla felicità – e la sua negazione – siano determinate da come le città e le strade sono disegnate e vissute. Peccato che di programmi, in questa tormentatissima campagna elettorale per Roma, se ne siano visti pochi o in grande ritardo

Ho trascorso da poco un mese a New York, nel pazzo marzo tra nevicate e improvvise giornate di sole, immersa nelle mie ricerche di sociologia urbana. Il ritorno a Roma, oltre all’amarezza per l’insostenibile confronto tra questa città dove torno appena posso, ed una città eterna che ogni giorno di più offre il peggio di sé, mi ha riservato una sorpresa. L’offerta di una candidatura (Sinistra per Roma – Fassina) a consigliere nel primo Municipio, quello del centro storico. Non si è trattato di un riconoscimento politico, ma di un’attestazione di stima, da parte di amici che fanno attività politica nel mio Rione (sono nata nello storico rione Parione a Piazza Navona, ma “adottata” da trenta anni dal rione Testaccio), per il mio voler narrare nel bene e nel male e, se necessario, denunciare le trasformazioni di questa città che amo. Mi sono detta, “Dopo aver dato parola alla città che cambia con l’associazione culturale Ottavo Colle  è ora di darsi da fare per dare il mio contributo a cambiare questa città”. Eccomi in campagna elettorale. Ed è così che mi trovo a scrivere una cronaca di parte – non politica, ma dichiaratamente scritta in soggettiva – di queste elezioni.

A Roma il 5 giugno si vota per l’elezione del sindaco, del consiglio comunale e dei municipi. Un voto a cavallo del “ponte” per la festa della Repubblica del 2 giugno. Molti temono che, come nelle ultime tornate elettorali e come confermato dal referendum, a pesare sarà il “partito delle astensioni”. Si percepisce rassegnazione in città. Gli sgomberi degli spazi sociali e culturali occupati –  i soli a fare cultura e a offrire welfare “dal basso” in un contesto di continui tagli di bilancio in una città che soffre una grave crisi sociale ed economica – sono all’ordine del giorno.

Da tempo nella capitale si respira un’atmosfera di resa, dallo sfacelo delle municipalizzate e del sistema della raccolta dei rifiuti e dei trasporti pubblici allo stato di abbandono degli spazi e parchi pubblici. Una sensazione amara, di frustrazione cui la “pancia” di molti, dal centro alle periferie, risponde con la rabbia.

Rabbia che sanno egregiamente trasformare in consenso le forze politiche che fanno leva sul qualunquismo e sulla paura.

Da sociologa urbana, come una nuova amministrazione intenda ragionare sulla disposizione dello spazio urbano, delle residenze e del problema dell’housing sociale, del verde, degli spazi commerciali e culturali è senz’altro l’argomento che cerco per primo nei programmi. Da cittadina ed elettrice, pure.

Perché credo che il benessere, la qualità di vita ed anche il diritto alla felicità – e la sua negazione – siano determinate da come le città e le strade sono disegnate e vissute. Peccato che di programmi, in questa tormentatissima campagna elettorale per Roma, – dopo la cacciata di Ignazio Marino a suon di firme davanti al notaio dei consiglieri del suo stesso partito (il PD) in inedita ed insolita alleanza con il Movimento 5 Stelle – se ne siano visti pochi o in grande ritardo.

L’incertezza ha regnato fino al 20 maggio, a due settimane dal voto ma già in piena campagna elettorale.

Il candidato sindaco Roberto Fassina e la sua lista Sinistra per Roma hanno infatti dovuto attendere fino a quella data per essere riammessi alle elezioni dopo che ne erano stati esclusi per un vizio formale nella presentazione delle liste. Un’ingenuità che avrebbe potuto arrestare il processo per la costruzione di un nuovo soggetto politico a sinistra del Pd che delle elezioni amministrative a Roma ha fatto il suo laboratorio. Un’esclusione che, sebbene a Fassina dai sondaggi sia accreditato un consenso ad una cifra percentuale, avrebbe potuto condizionare l’esito di un eventuale ballottaggio.

Nel frattempo, però, gli altri candidati non è che siano stati guardare. Anzi in molti si sono cimentati nella favolosa pratica degli slogan ad effetto in cui i politici italiani a partire da “spezzeremo le reni alla Grecia” fino “a creeremo un milione di posti di lavoro”, sono secondi a nessuno.

A partire da Virginia Raggi, candidata del Movimento Cinque stelle, che fa della costruzione di funivie metropolitane per risolvere il problema del traffico in città e della  distribuzione alle mamme dei kit con pannolini ecologici per affrontare l’emergenza rifiuti le sue bandiere. Ultima in ordine di arrivo, la proposta di una “moneta cittadina” e di un ritorno, in parte, al baratto (sic!).

Per poi passare al generone romano per eccellenza, il candidato indipendente per tutte le stagioni Alfio Marchini, rampollo di una stirpe di palazzinari in odor di comunismo, che, alla sua seconda esperienza elettorale, prima aveva fatto suo lo slogan “libero dai partiti”, salvo poi accettare l’investitura di un centro-destra in crisi di candidati.

Non passa lo straniero, invece, con Giorgia Meloni, candidata anti-immigrati di Fratelli d’Italia, che fa della paura del diverso la sua leva politica, della lotta al degrado che ne deriva il suo emblema e che propone d’intitolare nella città medaglia d’oro della Resistenza una strada a Giorgio Almirante, esponente della Repubblica Sociale Italiana e fondatore del MSI.

Infine – ma non ultimo perché oltre questi che sono i cinque principali candidati in altri nove sono scesi nell’arena capitolina a contendersi il titolo di primo cittadino – arriviamo al candidato del PD di Renzi. Roberto Giachetti. Un romano che pochi nel suo stesso partito conoscono e che fa della sua romanità un programma: e basta quello.

Si dirà, sono boutade da campagna elettorale. Siamo però sicuri che qualcuno davvero voglia prendersi la responsabilità di governare Roma?

Sintomo di questa difficoltà a esporsi è certo il fatto che i programmi dei candidati sono stati pubblicati solo a tre settimane dal voto (vivaddio) e, soprattutto per quanto riguarda la visione urbanistica della città, se e quando decidono di esplicitarla, soffrono tutti quantomeno di una certa genericità. Esaminiamoli comunque insieme, navigando tra programmi e dichiarazioni politiche.

Roberto Giachetti in campo urbanistico vuole garantire alla città gli stessi servizi, le stesse opportunità e la stessa qualità della vita. Come? Giachetti, già radicale e Capo di Gabinetto di Rutelli Sindaco di Roma ora vice presidente della Camera e renziano di ferro, ci dice che per farlo “si devono seguire le direzioni più recenti dell’urbanistica, quelle che parlano di città come motori dell’innovazione, di ricucitura delle periferie, di tessuti urbani come centri di una crescita sostenibile, di interventi rivolti alla riqualificazione e alla rigenerazione dell’esistente”. Promette di impegnarsi per completare le opere incompiute e soprattutto di non consumare più suolo nell’Agro Romano – finalmente, per quanto ne è rimasto… – incentivare la riqualificazione energetica degli edifici e promuovere la bioedilizia.

Giorgia Meloni impugna il piccone ed il 24 maggio dichiara all’Ansa che ha intenzione di: “Costruire e demolire per portare il bello in periferia: è una sfida che si può fare a Corviale e a Tor Bella Monaca. Sono molto attenta a tutta la questione sulla rigenerazione urbana. Sono per i progetti di costruzione e demolizione, e non il contrario -ha detto- dunque a Corviale si possono costruir case a dimensione umana e poi buttare giù il Serpentone, lo stesso a Tor Bella Monaca” sposando de facto il frontismo ruspista dell’alleato leghista.

La filosofia urbanistica del candidato per il centro-destra Alfio Marchini è condensata nella sua dichiarazione su “Mussolini è stato il più grande urbanista del Novecento, come disse mio nonno”. Glissando, però, sul fatto che è proprio grazie alla politica degli sventramenti fascisti, attuata in base al Piano Regolatore del 1931 redatto da Marcello Piacentini, che ancora oggi Roma soffre del congestionamento della viabilità a causa di uno sviluppo a macchia d’olio e, soprattutto, ha perso buona parte del suo impianto medievale, quasi completamente demolito dalla grandeur fascista. Di questo ho scritto recentemente su Popoff quotidiano.

Il programma per lo sviluppo urbanistico di Roma della Raggi, oltre alle teleferiche, è un proclama di nobili intenzioni improntate per lo più allo slogan più in voga tra i pentastellati: “Onestà!”. Ecco cosa propone la candidata anti-sistema ”Diritto ad abitare un alloggio proporzionato al nucleo famigliare, ad un affitto che non superi il 20% del reddito. Rendiamo pubblica la mappa e completiamo il censimento del patrimonio immobiliare del Comune, blocchiamo la sua vendita e riportiamo gli abitanti nella città. Azzeriamo gli affitti passivi, facciamo manutenzione per le case pubbliche inagibili e favoriamo l’auto-recupero degli immobili coinvolgendo la cittadinanza attiva. Migliaia di cantieri aperti alle piccole imprese per il recupero degli alloggi perduti”.

Fassina è forse candidato che prende con più decisione distanza da quel “Modello Roma” delle giunte degli ultimi venti anni che, con un patto di ferro stretto con i palazzinari, hanno contribuito a cementificare l’Agro Romano riempendolo di centri commerciali e di case senza gente. Il candidato di Sinistra per Roma, non senza un certo realismo, scrive infatti che “dati i risultati prodotti negli ultimi vent’anni, anche dal celebrato «Modello Roma», non abbiamo nostalgia. Anzi, vogliamo una netta discontinuità. Le direttrici dello sviluppo di Roma devono passare per le sue specificità della storia e del presente. La concentrazione di lavoratori e lavoratrici della cultura e della conoscenza è da noi tra le più alte dell’Unione europea. L’edilizia rimane decisiva per il tessuto economico romano, ma la svolta passa dalla riqualificazione delle periferie, dall’efficientamento energetico e dalla domotica e dal piano strategico dei trasporti. Zero consumo di suolo non è destino di impoverimento, ma futuro di sviluppo sostenibile. Attraverso il dialogo sociale e incentivi mirati, l’amministrazione promuove la diversificazione e la qualificazione dell’offerta turistica e l’agricoltura di qualità, anche attraverso la concessione dei terreni agricoli comunali a giovani agricoltori per utilizzarne la produzione per le mense scolastiche e ospedaliere, oltreché per l’offerta a prezzi temperati nei mercati rionali”.

“Chiamale, se vuoi, illusioni” per citare una canzone di Lucio Battisti, perché tutti i candidati sanno perfettamente che, se vinceranno, non saranno loro a governare Roma, ma il debito accumulato dal Campidoglio e, di conseguenza, l’inquilino di Palazzo Chigi che, a seconda dei casi, potrà decidere se stringere o allargare i cordoni della borsa, come ha fatto del resto con Ignazio Marino.

In attesa dell’esito elettorale, consoliamoci quindi rileggendo “Le memorie di Adriano” di M. Yourcenar (1963) e gli splendidi ragionamenti dell’imperatore di fronte al governo delle città: “Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo. Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate d’acque limpide, popolate di esseri umani il cui corpo non fosse deturpato né dal marchio della miseria o della schiavitù, né dal turgore di una ricchezza volgare (…) volevo che l’immensa maestà della pace romana si estendesse a tutti, insensibile e presente come la musica del firmamento nel suo moto”.

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Irene Ranaldi (1973) romana, sociologa urbana, phd in “Teoria e Analisi Qualitativa”. Giornalista, direttore responsabile di www.sociale.it testata che si occupa di impresa sociale e disabilità, si è diplomata “Archivista” all’Archivio di Stato di Roma e ha svolto ricerche principalmente sul rapporto tra identità locale e mutamento sociale in Italia e negli Stati Uniti. Ha pubblicato volumi e vari articoli in riviste scientifiche su temi riguardanti la sociologia urbana con un particolare focus su gentrification e trasformazioni dell’identità locale e urbana nei quartieri e sul rapporto tra globalizzazione e città. È presidente dell’Associazione culturale “Ottavo Colle” e scrive come free lance su “La Voce di New York”.

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