Franco Ferrarotti e l’identità frantumata

La Voce di New York

Scritto da Irene Ranaldi

Compie 90 anni il padre della sociologia in Italia e analista delle contraddizioni dell’Occidente

Da bambino una salute fragile lo avvicinò ai libri, trasformandolo in “un uomo di carta”. Interessato fin da giovanissimo alla sociologia critica americana, è stato deputato e militato al fianco di Adriano Olivetti. Ancora nel 2013 teneva lezioni alla New York University e alla Sorbona di Parigi

Franco Ferrarotti, padre della sociologia italiana compie 90 anni. Nato a Palazzolo Vercellese il 7 aprile 1926 venne subito dato per spacciato per la sua salute fragile: “Ero troppo debole e per le dure leggi del mondo contadino venivo considerato uno scarto. Un peso da cui liberarsi. Ho cominciato a parlare a cinque anni. Pensavano fossi un ritardato mentale. Paradossalmente fu un vantaggio, perché il silenzio sviluppò in me le capacità di osservazione, che arricchii leggendo. Alla biblioteca comunale passavo le giornate. Mio padre cominciò a odiarmi. Diceva con disprezzo: diventerai un uomo di carta. Non ha avuto tutti i torti. L’ho anche scritto: sono nato in mezzo ai libri. Morirò baciando la loro polvere. Aveva ragione mio padre: sono un uomo di carta” ha detto in occasione della presentazione a Roma del suo ultimo libro1965 un anno qualunque (Guida, 2015).

Chi scrive ha avuto il privilegio di seguirne le lezioni alla Facoltà di Sociologia de La Sapienza di Roma e negli anni a seguire specializzazioni in sociologia qualitativa e ricerche sul campo. Difficilissimo presentare una mente così sui generis, un uomo di una rara erudizione capace di citazioni a memoria in più lingue, capace di argomentare da un tema all’altro con una lucidità da fare invidia ad un trentenne. Se la lettura, l’esercizio della memoria e soprattutto la curiosità verso le persone ed il mondo sono determinanti per mantenersi attivi, Ferrarotti ne è la prova. Da anni è professore emerito di Sociologia all’Università La Sapienza di Roma, ma ancora nel 2013 teneva lezioni alla New York University e alla Sorbona di Parigi dove ha diretto la Maison des Sciences de l’Homme. Franco Ferrarotti ha insegnato anche in America Latina, Russia, Giappone. Dal 1958 al 1963 fu deputato (per il Movimento Comunità di Adriano Olivetti) ma ebbe il coraggio di ammettere: “la politica mi piaceva troppo, finiva per mangiarmi la vita. Il piacere di una vittoria politica è più forte di un orgasmo”.

Franco Ferrarotti ha sempre parlato senza alcuna remora di disturbare i potenti di turno e fa della sua indipendenza intellettuale un orgoglio. Difficile trovare nel panorama culturale contemporaneo italiano, anche dopo la scomparsa di grandi punti di riferimento come Umberto Eco. I suoi saggi sono farciti di ricordi biografici e degli incontri importanti che ha avuto in una vita ricca di viaggi, insegnamenti nelle cattedre delle Università più prestigiose del mondo, fotografie e taccuini. I taccuini di Ferrarotti sono leggendari e come archivista ne ho avuto accesso. Peccato che la sua grafia sia davvero difficile da decifrare. Considera Cesare Pavese il suo padre spirituale. Negli USA fu amico di Faulkner. È stato molto amico dello scrittore Paolo Volponi, i poeti Franco Fortini e Giovanni Giudici, del collega sociologo Luciano Gallino, scomparso un anno fa, e di tantissimi altri. Tra gli ultimi libri segnaliamo: America oggi. Capitalismo e società negli Stati Uniti (Newton Compton, 2006), Vita e morte di una classe dirigente (Edup, 2006), Diplomatico per caso (Guerini e Associati, 2007). In Un popolo di frenetici informatissimi idioti (Edizioni Solfanelli, 2013) attacca il popolo di Google, Facebook, Twitter, quelli che “sanno tutto ma non capiscono niente”.

Nelle presentazioni dei suoi libri o nelle lezioni, ama parlare della sua famiglia di origine, agricoltori, e delle malattie infantili che fecero di lui un lettore precocissimo. Passava molto tempo da solo, cominciò a parlare e camminare tardi. Spesso racconta: “Credevano che fossi un po’ ritardato. Così, ho vissuto più tranquillo. Non ti assillano di richieste. Non ti si mette alla prova”.

Interessato fin da giovanissimo alla sociologia critica americana, traduce in  italiano il celebre saggio di Thorstein Veblen La teoria della classe agiata (1899). Accade che, a dispetto di Benedetto Croce che l’aveva stroncato su Il Corriere della sera, la sua traduzione attira l’attenzione e da lì l’incontro, politico, ideologico e ideale, con Adriano Olivetti e i primi collaboratori delle Edizioni di Comunità. Ama dire che “più che la conoscenza contano le conoscenze”. Ha sempre dedicato una particolare attenzione alla città di Roma: “Le periferie sono un mosaico culturale ed etnico, e se si fermassero non andrebbe avanti il centro. Il futuro è della metropoli policentrica”.  Dorme al massimo 5 ore: “Funzioniamo h24, senza distinzione tra giorno e notte. E il lavoro vero lo si fa solo rubando ore al sonno”.

Alcune citazioni sono molto attuali come quelle tratte da La storia e il quotidiano (Laterza, 1986) dove, parlando di autobiografie e società di massa scrive: “L’io oggi è in fuga. Le sollecitazioni cui è sottoposto lo frantumano su piani molteplici la cui non contraddittorietà non è per niente garantita. Forse è vero che l’individuo sta diventando niente più che l’ambiente del sistema, il crocevia casuale di tensioni e di passaggi che si sovrappongono si negano o si cumulano con sovrana indifferenza”. Circa venti anni più tardi, in Un popolo di frenetici informatissimi idioti, (Solfanelli, 2012) definisce gli idioti come “circoscritti localizzati prigionieri del web. È una generazione al macero, appesa agli schermi opachi di tv, internet, facebook, youtube, destinata all’obesità catatonica e alla lordosi sedentaria”.

La frantumazione delle identità e delle rappresentazioni delle molteplici identità è una esperienza ormai pervasiva nella società occidentale le cui contraddizioni Franco Ferrarotti ha studiato, e continua a studiare, da più di settanta anni.

In occasione dei suoi novant’anni, il 7 aprile si terrà un incontro dal titolo Buon compleanno Professore!, nell’auditorium dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi (ICBSA) di Roma.

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